Il Comitato Scientifico, con cui Fondazione CondiVivere lavora, è composto da professionisti che hanno come comune denominatore la ricerca del prof. Nicola Cuomo, docente di Pedagogia Speciale di Bologna.

Alice Imola

Alice Imola
Pedagogista

Vice Presidente dell’Associazione AEMOCON (BO), membro del Comitato Scientifico e coordinatore Pedagogico di Fondazione Condivivere (MI) e APS De@ESI nazionale.

 

Referente Scientifico pedagogia

 

Dal 2005 al 2016 ha fatto parte del team dell’Insegnamento di Pedagogia Speciale e Didattica dell’Integrazione, di responsabilità del prof. Nicola Cuomo (Dip. di Scienze dell’Educazione, Università di Bologna)

Dal 2005 è impegnata in attività di ricerca multi e interdisciplinare relativamente a:

  • superamento delle difficoltà di apprendimento e di insegnamento per una qualità della didattica per tutti al di là dei deficit.
  • sviluppo e potenziamento delle diverse e originali intelligenze nei contesti di vita (scuola, casa, tempo libero e lavoro) con particolare accento agli aspetti inclusivi e al potenziare autederminazione verso una vita adulta autonoma e indipendente.
  • handicap e sessualità.
  • progetto vita e amministratore di sostegno.

È Managing Editor nella rivista online “L’Emozione di Conoscere e Desiderio di Esistere”, rivista on-line www.rivistaemozione.com

Svolge attività di consulenza, formazione e tutoring a Associazioni, Fondazioni, Cooperative, Famiglie, Educatori e Insegnanti, in Italia e all’estero, sul modello empatico relazionale secondo il metodo Emozione di Conoscere

Elisabetta Bacciaglia
Psicologa

Presidente Associazione Aemocon

 

Referente Scientifico psicologia

 

Responsabile nell’ambito psicologico del Percorso Filo D’Arianna. Tale protocollo di intervento rivolto alle famiglie di persone con disabilità psichica si propone di sostenerle nella complessa gestione del vivere quotidiano, spesso lasciato in ombra, trascurato e considerato di importanza secondaria rispetto agli interventi riabilitativi e medico-terapeutici. L’intervento psicologico proposto cerca di offrire supporto lì dove manca ancora spesso uno spazio di riflessione:ad esempio sul come vengono vissute, percepite e “utilizzate” le proposte terapeutiche e riabilitative sia dalla persona a cui sono rivolte, che dal gruppo familiare, così come sul come stare in relazione al di là delle difficoltà portate dalla disabilità, al di là dei momenti terapeutici e riabilitativi, in quel grande ambito ricco di potenzialità che è la vita familiare e sociale. Nei confronti periodici con i famigliari, ampio lavoro è dedicato alla riflessione sulle dinamiche relazionali caratteristiche del gruppo famigliare, di quali bisogni soffre e di quali risorse dispone.

Cinzia De Pellegrin
Pedagogista

Referente Scientifico pedagogia

 

Dal 1998 ha fatto parte del team dell’insegnamento di Pedagogia Speciale e Didattica dell’Integrazione di responsabilità del prof. Nicola Cuomo (Univ. di Bologna).

E’ coordinatrice territoriale per la Fondazione Condivivere e la Cooperativa Sì, si può fare – Bresso (MI). Si occupa di progettare percorsi educativi per il potenziamento cognitivo ed affettivo di persone adulti con deficit, verso una vita autonoma e indipendente nei contesti di casa, scuola, tempo libero e lavoro.

Aldo Piatti
Maestro di Judo

Referente Scientifico Sport e Diritti

 

Aldo Piatti si racconta: 73 anni, milanese, sposato con Pinuccia, un figlio, Niccolò, di 34 anni.

Dopo il diploma di Perito Elettrotecnico conseguito al Feltrinelli, serale, durante gli anni trascorsi come operaio in una fabbrica elettrotecnica di Milano, inizio l’avventura del Judo alla Spartacus di Milano.

Furono anni decisivi: il Maestro Barioli e i compagni di pratica, mi coinvolgono sempre più e nel maggio del ’69 conseguo la C. Nera.

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Il servizio di leva, in giro per l’Italia, mi fa approdare al Centro Sportivo Atleti di Orvieto dove la pratica quotidiana mi fa assaporare la fatica, rafforzando l’amore per la disciplina scelta quasi casualmente.

Arrivano gli anni dell’università e, grazie all’aiuto di tre splendidi amici, conseguo la laurea in fisica nel febbraio del ’74. Qualche anno prima avevo iniziato ad insegnare in una palestra di Gallarate che lasciai per dedicarmi alla tesi di laurea. La pausa forzata nell’insegnamento, ma non nella pratica, si  interrompe nel settembre del ’74 quando, con mio fratello Claudio, apro il Bu-Sen di Bresso.

La svolta decisiva.

Un giorno due famiglie mi chiesero di “accogliere” i loro figli nel corso di Judo. Erano bambini con la Sindrome di Down. Fu un duro colpo: inesperto insegnante, non sapevo a cosa sarei andato incontro, non conoscevo questa Sindrome e i suoi aspetti. Dopo un paio di giorni di riflessione decisi, con una buona dose di incoscienza, di iniziare questa nuova avventura. Fu la mia vera fortuna!

Gli anni ’80 e il prof. Nicola Cuomo.

Si era sparsa la voce che al Bu-Sen di Bresso vi fossero inclusi, nei corsi di Judo, persone con la Sindrome di Down: qualcuno mi chiamava il maestro degli handicappati. La parola maestro era impropria, lo sono diventato solo pochi mesi fa e mi va anche un poco stretta, ma ancora di più mi infastidiva la  parola handicappato. Stavo  percependo quale esperienza mi regalavano quei gruppi eterogenei di ragazzi ma mi chiedevo ogni giorno se fosse giusto coinvolgere altri giovani nella mia avventura.

Conobbi  Nicola Cuomo  grazie a una famiglia bolognese che mi propose di organizzare un viaggio in Giappone con un gruppo di ragazzi con sindrome di Down, alcuni loro amici e gli insegnanti. Mi sembrava una follia ma l’entusiasmo di Cuomo  mi convinse che si sarebbe potuto fare: avremmo mostrato, a chi aveva inventato il Judo, che la nostra visione inclusiva era giusta.

Il Progetto “Over the Gap” ebbe inizio nell’88 con il coinvolgimento di docenti universitari di Bologna e Modena che avrebbero partecipato al viaggio. Fu una splendida esperienza che culminò con un grande convegno nell’aula magna dell’Università di Bologna e passaggi TV nel programma educativo della RAI. Si erano agitate le acque in un mondo sportivo  che pensava solo all’omogeneità e che era da noi percepito come troppo fine a se stesso e che non aveva fatto tesoro della rivoluzione scolastica del ’74 con la chiusura delle scuole speciali. Tutto molto bello ma mi mancavano le ragioni vere del nostro operare, quelle che oggi chiamiamo “Progetto Pedagogico” e che riconduciamo al significato di Filosofia: pensiero e azione rivolti al bene comune. Mancava la filosofia che portasse alla “vita autonoma e indipendente” di ognuno di noi, indipendentemente dalle nostre abilità e condizioni fisiche e sociali.

La domanda che mi facevo era sempre la stessa: a che serve insegnare una tecnica di Judo o una regola matematica a persone con deficit se poi la società confina negli istituti queste persone, quando vengono a mancare i loro genitori?

Il prof. Cuomo aveva in mente la risposta e lavorava senza sosta al suo progetto “Emozione di Conoscere”.

Il tempo volava inesorabilmente: in palestra la fatica degli allenamenti, in giro per l’Italia per  convegni dedicati a una nuova visione dello sport e della scuola, la nascita dell’ass. Agorà per sviluppare azioni e pensieri che la pedagogia speciale ci suggeriva ogni giorno, mettevano sempre più in luce la debolezza di un sistema sociale vecchio, costoso, inutile, fragile, dannoso e immorale.

Non riuscivo a dare risposte, percepivo appena quale fosse l’idea del prof. Nicola Cuomo ma non riuscivo a concretizzarla.

La Scuola, la Fondazione, la Cooperativa.

Avevo intrapreso la strada dell’insegnamento della fisica e della matematica nelle scuole superiori e vedevo questa professione sempre più affine con quella della pratica e dell’insegnamento del Judo. I sei anni trascorsi in fabbrica, subito dopo la scuola media, mi avevano lasciato una traccia che riuscivo appena a comprendere. Cuomo parlava di emozioni, di piacere, di quanto fosse indispensabile proporre una didattica che “partisse” dal “saper fare” in ogni aspetto dell’attività umana. I convegni e la vita al Bu-sen mi lasciavano sempre la sensazione che fossero energie sprecate: non riuscivo a fare breccia nella gente e nelle istituzioni. Poi, quasi per caso, fui nominato assessore alle Politiche Giovanili, allo Sport e successivamente alla Pubblica Istruzione e mi venne l’idea:

Proposi a Cuomo un incontro con le famiglie del territorio i cui figli avessero deficit cognitivi. Bisognava cercare di coinvolgerle in un’avventura che mettesse in discussione gli schemi tanto cari al modello assistenzialistico che volevo smantellare.

Stavano nascendo la Fondazione CondiVivere e la Cooperativa Sì, si può fare. Diciassette famiglie avevano deciso di cambiare il modello sociale per dare ai propri figli un futuro, faticoso ma dignitoso, basato sul lavoro e quindi su una vita autonoma e indipendente. Sembrava un’utopia. Quelle persone, fino ad allora considerate “incapaci di comprendere o di fare di conto”, avrebbero potuto avere la possibilità di realizzare i propri sogni, di vivere una vita dignitosa, di faticare e di non essere più considerati poverini bisognosi di assistenza.

Grazie alle Famiglie e al prof. Cuomo, ero riuscito a dare la risposta alla domanda che da anni mi tormentava. Quei Genitori entusiasti e coraggiosi mi avevano fatto capire a cosa fosse servita quella scelta fatta negli anni ottanta.

Mancava ancora un tassello.

I Diritti Umani.

L’incontro con un amico, che mi aveva voluto in un progetto sostenuto dalla Regione Lombardia, mi aveva messo di fronte a tre articoli della Carta Europea dei Diritti Umani. La semplicità di quegli scritti ha una forza straordinaria: con poche parole sono descritti i Diritti delle Persone indipendentemente dalle loro condizioni.

Avevo scoperto come si potessero coniugare i Diritti Umani con il Judo, con l’insegnamento a scuola e con qualsiasi altra attività umana. E finalmente applicarli.

Collaboro ora con una Associazione di diritto belga apprezzata al tavolo della Commissione Europea.

Il mio tempo sta per finire ma vorrei entrare ancora nell’Amministrazione Pubblica come Assessore alle Politiche Sociali per cercare di cambiare il modello sociale, almeno nella città in cui vivo e lavoro ormai da quasi mezzo secolo.